Ora, sebbene sia le opere di Orfescu sia le nostre vengano etichettate come NanoArte, non è privo di interesse capire quali sono le differenze tra i due approcci, poiché non si si tratta di semplici dettagli.
La diversità sostanziale, verrebbe da dire, è macroscopica e salta subito all’occhio: le opere di Cris Orfescu hanno dimensioni normali, o, in altre parole, sono visibili. È il soggetto delle opere ad essere nanometrico: Cris, in sostanza, elabora immagini ottenute da microscopi elettronici a scansione (lavorando, ad esempio, sulle cromie), poi le stampa in svariate dimensioni e quindi le espone.
Le nostre opere, al contrario, non sono semplicemente immagini, riproduzioni, scansioni o elaborazioni dell’affascinante e misterioso mondo dell’infinitamente piccolo. Sono le opere stesse ad avere dimensioni nanometriche o micrometriche – l’Africa di Dimensione attuale (Alessandro Scali e Robin Goode, 2007) misura 300 x 280 nanometri - e di conseguenza risultano invisibili all’occhio umano.
Trovo opportuno fermarmi qui ed evitare di fare paragoni sui soggetti, sui temi o sui contenuti delle rispettive opere. Ciascuno può giudicare liberamente: sia le nostre che quelle di Orfescu sono da qualche parte online. Ciò che è importante sottolineare è che il nostro approccio – che forse sarebbe più opportuno definire arte invisibile invece che nanoarte – sottrae, nasconde all’occhio dello spettatore l’elemento fondante dell’arte visiva, su cui si incentra anche la fantomatica NanoArte di Orfescu.
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