Wednesday, December 17, 2008

Nanoarte: mai fidarsi degli artisti

Il presente saggio è pubblicato sul catalogo NanoArt, edito da Skira in occasione della mostra tenutasi a Bergamo nell'ottobre 2007. La mostra - curata da Stefano Raimondi - ha presentato per la prima volta sette opere di NanoArte di Alessandro Scali e Robin Goode, realizzate in collaborazione con il Dipartimento di fisica del Politecnico di Torino. Autore del saggio: Alessandro Scali (LSSNDR).

“Quando indaga la natura e l’universo,
lungi dal ricercare e dal trovare qualità oggettive,
l’uomo trova se stesso.”

Werner Heisenberg


Ritenere che arte e scienza siano due mondi distinti, privi di relazioni reciproche, quasi agli antipodi l’uno dell’altro è un errore. In realtà possiamo considerare arte e scienza come due individui della medesima specie ma di genere diverso, attratti reciprocamente l’uno dall’altro e impegnati congiuntamente a generare conoscenza. Altri elementi in comune emergono se si osservano i moda operandi di un artista e di uno scienziato: entrambi operano all’interno di contesti specifici, ma all’atto della ricerca tendono a trascendere l’uno i canoni estetici, l’altro i paradigmi scientifici dati. Entrambi - al contrario di quanto in genere si crede - uniscono la metodicità alla creatività: l’artista infatti compie ripetutamente e sistematicamente il gesto pittorico, lo scienziato la misura di una grandezza fisica, fino a giungere al momento dell’apertura, della rivelazione, della scoperta.
Inoltre, come l’artista opera su una forte base conoscitiva, così lo scienziato utilizza una forte componente intuitiva, o in altre parole, creativa e artistica. Sia l’arte che la scienza, infine, si propongono di rendere semplice ciò che è complesso, o intelleggibile ciò che sembra ineffabile.
Altre considerazioni di rilievo emergono se, al di là del confronto, si analizzano le influenze reciproche e le relazioni concrete tra arte e scienza.
Sotto la spinta della scienza e del progresso tecnologico, l’arte, nel corso dei secoli, ha subito profonde trasformazioni e ha conosciuto passaggi epocali. Basti pensare all’impatto che ha avuto sull’arte del XIX secolo la comparsa della fotografia; la capacità della fotografia di riprodurre fedelmente la realtà contribuì a smantellare un’idea che esisteva da secoli e che ancora oggi non smette di esercitare il suo fascino, ossia il concetto di arte come fedele riproduzione o mimesi del mondo. Quello che per gli artisti poteva essere uno scacco – un concreto problema di sopravvivenza -, si trasformò nell’opportunità di ridefinire il concetto stesso di arte, andando oltre il realismo. Lasciando alla fotografia il compito di riprodurre il reale, gli artisti – soprattutto i pittori – si volgono alla rappresentazione del mondo interiore, delle sensazioni, delle emozioni, delle differenze nella percezione. Impressionismo, astrattismo, cubismo, concettualismo sono solo alcuni dei movimenti che hanno segnato questo passaggio fondamentale nel concetto di arte, innescato dalle scoperte della scienza e della tecnica.
Il costante rapporto tra mondo dell’arte e mondo della scienza e della tecnologia si fa manifesto nell’arte contemporanea. Se oggi gli artisti possono esprimersi non solo attraverso quadri, dipinti, disegni, litografie e sculture, ma anche attraverso fotografie, film, video, installazioni multimediali, hardware e software, internet, etc..., ciò è chiaramente il risultato dell’utilizzo delle scoperte della scienza e della tecnologia nel campo dell’arte. Per l’arte la scienza non è dunque un mondo lontano e avverso ma al contrario è uno stimolo continuo, un serbatoio apparentemente inesauribile di idee e di rivoluzionarie modalità espressive.

In un’epoca come quella contemporanea, caratterizzata da continue scoperte epocali, c’è il rischio di assuefazione alla grandiosa novità: tutto è costantemente nuovo, tutto è rivoluzionario. Si rischia di non saper distinguere, tra la moltitudine di presunte innovazioni, quali siano quelle che incideranno concretamente e in modo profondo sulla nostra esistenza e quali, al contrario, non sono altro che fuochi di paglia, destinati a brillare per pochi secondi. La domanda che ci si pone, in altre parole, è se in un mondo che intende stupirci ogni giorno con l’incessante proposizione di novità scientifiche e tecnologiche, ci sia ancora qualcosa in grado di sorprenderci veramente.

Ebbene, la nanotecnologia è riuscita a sorprenderci. Solo lo stupore può descrivere la gamma di sensazioni che abbiamo provato davanti alle prime immagini di motori a reazione nanometrici utilizzati sui satelliti spaziali, oppure di fronte alle immagini di un paio di pinze talmente piccole da essere in grado di prendere un singolo atomo. Non potevamo credere ai nostri occhi quando abbiamo preso le misure del nanometro e abbiamo compreso quanto sia infinitamente piccolo rispetto alle dimensioni a cui siamo abituati. Un milione di volte più piccolo di un millimetro. Un’unità di misura che il nostro intelletto fa fatica a rappresentarsi. Ci trovavamo di fronte a qualcosa che superava la nostra fantasia: nanorobot che portavano i farmaci solo alle cellule malate, computer e memorie molecolari, talmente potenti e veloci da poter decrittare in pochi istanti qualsiasi codice, e violare anche i più sofisticati sistemi di sicurezza. Ci chiedevamo come fosse possibile che queste cose esistessero realmente e non solo nella fantasia di qualche scrittore di fantascienza, e quale fosse la ragione per cui se ne sapesse, tutto sommato, relativamente poco.
Il nostro stupore non è diminuito di fronte agli orizzonti che alcuni tra i più importanti esperti italiani del settore ci hanno descritto relativamente all’impatto della nanotecnologia sulle nostra vita, sulle nostre abitudini o sulla possibile soluzione di alcuni tra i più gravi problemi dell’umanità. Basti pensare che, come afferma il prof. Pirri nel suo saggio, “tutti i recenti progressi nelle scienze della vita, della salute, dell’alimentazione, dell’ambiente, della informazione, dei materiali e dell’energia hanno in comune lo studio e la comprensione dei fenomeni fisici e biofisici alle scale più piccole. Non vi è settore che, in prospettiva, possa sottrarsi all’indagine delle proprietà della materia a partire dalle sue strutture più minute”.

Le nanotecnologie, in sostanza, costituiscono un approccio radicalmente innovativo, che si fonda sulla comprensione e sulla conoscenza approfondita delle proprietà della materia su scala nanometrica. Su questa scala la materia presenta diverse proprietà, a volte molto sorprendenti, e le frontiere tra discipline scientifiche e tecniche sfumano, il che spiega la dimensione fortemente interdisciplinare associata alle nanotecnologie. Le nanotecnologie sono spesso descritte come potenzialmente rivoluzionarie a livello di impatto sui metodi di produzione industriale. Esse apportano possibili soluzioni ad una serie di problemi attuali grazie a materiali, componenti e sistemi più piccoli, più leggeri, più rapidi e più efficaci. Le nanotecnologie dovrebbero inoltre giocare un ruolo da protagoniste nella soluzione di problemi mondiali ed ambientali poichè consentono di realizzare prodotti e processi per usi più specifici, risparmiare risorse e ridurre il volume dei rifiuti e delle emissioni.

La seconda straordinaria scoperta che ha immediatamente seguito quella della nanotecnologia, è stata quella dell’incontro con ciò che – se così possiamo esprimerci – sta dietro alla nanotecnologia. In particolare la meccanica quantistica, un complesso di teorie fisiche elaborate nella prima metà del XX secolo che descrivono il comportamento della materia a livello microscopico. A queste dimensioni, infatti, le ipotesi alla base della fisica classica non riescono a spiegare i fenomeni osservati nel corso degli esperimenti. Ma parlare di nuove teorie è limitativo: in realtà la meccanica quantistica opera un vero e proprio stravolgimento del nostro modo abituale di osservare il mondo, presentandoci una realtà regolata da una strana logica capovolta in cui perdono consistenza le leggi fondamentali che regolano la nostra realtà quotidiana. Ed è proprio la stranezza – in alcuni casi l’assurdità – delle leggi dell’universo microfisico ad averci, ancora una volta, stupito: parliamo, per esempio, del concetto di onda di probabilità, il principio della non-località, il paradosso E.P.R. Orizzonti di ricerca che non riguardano o non interessano solo il campo della fisica, ma hanno un forte impatto sulla nostra visione del mondo, in particolare sulla filosofia e sull’arte stessa.

Questo excursus nel mondo della microfisica ci è sembrato un passaggio indispensabile per far comprendere nel modo più chiaro possibile i presupposti che hanno portato alla nascita della NanoArte. La volontà di avvicinare due mondi spesso considerati lontani come quello dell’arte e della scienza si può quindi ricondurre a due obiettivi principali. Il primo è di carattere propriamente artistico, che ha origine dalla necessità di trovare nuove modalità espressive per veicolare in modo efficace e sorprendente nuove idee, nuovi concetti e nuovi punti di vista sul mondo. Sotto questo aspetto la scienza, e in particolare la nanotecnologia, può mettere a disposizione dell’arte strumenti e tecniche all’avanguardia in grado di stravolgere le tradizionali modalità espressive. Attraverso la Nanoarte vogliamo proporre un’arte che dimostra concretamente la sua apertura al mondo, alle novità, alla società, alla cultura, alla ricerca e all’innovazione; un’arte attenta al progresso, allo sviluppo, alle nuove possibilità offerte dalla scienza e dalla tecnologia: un’arte non chiusa, autoreferenziale e ripiegata su se stessa, ma al contrario aperta, dinamica, curiosa. L’obiettivo della collaborazione è cioè quello di integrare l’aspetto tecnico delle micro/nanotecnologie con un approccio concettuale, estetico e artistico, che faccia esplodere tutte le potenzialità dell’arte e delle tecnologie più avanzate.
Il secondo motivo deriva dalla volontà di avvicinare il mondo della scienza, della tecnologia e dell’innovazione alle persone comuni. All’interno dei laboratori di ricerca stanno nascendo idee e progetti rivoluzionari, che senza dubbio giocheranno un ruolo da protagonisti nel nostro futuro e cambieranno anche il nostro modo di intendere la realtà e di rapportarci ad essa. Attraverso la mediazione dell’arte queste scoperte possono uscire dal mondo circoscritto dei laboratori per diventare patrimonio comune.

Solo recentemente l’arte ha iniziato a interagire con la nanotecnologia. Da questo punto di vista, oltre a Grit Rulhand, il solo artista che si sia cimentato costantemente con strutture micro e nanometriche è Cris Orfescu. Rispetto a quella di Orfescu, la nostra idea di NanoArte è diversa. Il nostro obiettivo non si limita a riprodurre il mondo microfisico a grandi dimensioni, ma utilizza le potenzialità offerte dalle nanotecnologie come mezzo per esprimere artisticamente nuovi punti di vista, nuovi valori, nuove interpretazioni del mondo. Partiamo cioè dalla necessità di veicolare un concetto o un’idea – per esempio l’invisibilità di un intero continente nel caso di Dimensione attuale, o una sfida alle leggi di Dio in Chiave per la libertà - e laddove ritieniamo che le nanotecnologie possano essere il mezzo più efficace per esprimerli, le utilizziamo.
In altre parole le nostre non sono immagini ingrandite di un universo nanometrico pre-esistente, in cui le opere sono esse stesse parte di quell’universo. Le nostre opere sono veri e propri oggetti fisici dalle forme più svariate – animali, oggetti, interi continenti, parole – ma di dimensioni infinitesimali, il più delle volte invisibili a occhio nudo. Inoltre, grazie all’opportunità offerta dalla nanotecnologia di modificare la nanostruttura di determinati materiali, è possibile realizzare delle opere che sono visibili solo in certi punti della superficie e solo a seguito di un’interazione col pubblico. È il caso dell’opera Fiato sprecato che appare solo dopo che lo spettatore ha soffiato sulla sua superficie. Un ulteriore aspetto da tenere in considerazione nell’affrontare un progetto artistico di questo tipo è la realizzazione pratica dell’idea di partenza. Da questo punto di vista, il contributo del Dipartimento di Fisica del Politecnico di Torino è stato fondamentale.

Di certo realizzare opere d’arte di dimensioni nanometriche provoca una sorta di imbarazzo estetico: alcune opere sono talmente piccole che sono invisibili ad occhio nudo. Per esempio, nel caso dell’opera Oltre le colonne d’Ercole, ciò che si vede non è altro che un quadrato di metallo di circa un centimetro di lato. Le impronte litografate sulla sua superficie sono visibili solo grazie all’ausilio di appositi strumenti. La NanoArte infrange quindi il tabù della visibilità e della percepibilità ad occhio nudo. Diventa così possibile osservare l’opera solo indirettamente, grazie all’aiuto di altri strumenti. Vi sono casi estremi in cui perfino il microscopio ottico non è di alcun aiuto per poter vedere qualcosa, e bisogna utilizzare il micoscopio elettronico a scansione.
Un caso altrettanto significativo dal punto di vista estetico è l’opportunità di creare opere che prendono vita solo quando uno spettatore interagisce con esse, come, per esempio, il già citato caso dell’opera Fiato sprecato. Queste possibilità pongono inevitabilmente una serie di interrogativi: l’arte deve essere necessariamente osservabile? È possibile parlare di opera d’arte se questa non è percepibile direttamente dai nostri sensi? E poi, nel caso di un’opera infinitamente piccola e non osservabile ad occhio nudo, chi garantisce che essa esista e che non sia invece uno scherzo di una coppia di burloni? Bisogna fidarsi dell’arte e dell’artista?

È indubbio che la possibilità di realizzare un’arte invisibile sia una sfida ad alcuni dei concetti che fondano l’esperienza estetica e che pone non pochi problemi sulle modalità di presentazione dell’opera: è opportuno presentare le opere nanometriche così come sono, invisibili? Oppure è necessario accompagnarle con delle immagini che mostrino, ingigantito, ciò che l’occhio umano non può vedere? O ancora, forse è opportuno mostrarle direttamente sotto la lente di microscopi? Sono domande che ancora oggi ci poniamo e a cui stiamo tentando di dare una risposta con questa prima mostra.

E se, per concludere, la NanoArte rappresentasse anche una sorta di inversione di tendenza dell’arte contemporanea? In un’epoca di grandeur artistica, basata sullo star system, con opere imponenti e mostre e fiere immense, forse c’è bisogno di un sano e deciso ridimensionamento. La Nanoarte è un’arte che si fa piccola, che si ridimensiona a tal punto da rendersi invisibile all’occhio umano. Il fatto che non si veda non significa che non esista.
Per dirla con una battuta, siamo per un’arte che non dia troppo nell’occhio.


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